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Durante il periodo medioevale ed elisabettiano, l’Inghilterra ha sviluppato una delle prassi teatrali più organizzate della storia del Teatro mondiale, sia nelle forme artistiche che nelle forme organizzative e strutturali. Vale a dire: il Teatro popolare.  Quando ho deciso di occuparmi, con la mia compagnia, di un’attività teatrale formativa e produttiva, in un quartiere come quello di San Giovanni a Teduccio, ho stabilito fin da subito di evitare una qualsiasi attività di recupero sociale fine a se stessa, vale a dire evitando il terribile chiacchiericcio di teatro e vita del quartiere, storie di camorre e teatro di denuncia, droga e malavita inserite in drammi teatrali d’autore, cronaca e arte, ecc. Il modello si è quasi immediatamente mostrato ai nostri occhi di gente povera, gente di palcoscenico abituata ai chiodi e alle tavolacce di ponte, alle tele dipinte male e ai costumi pesanti anche d’estate: il Teatro di tradizione anglosassone, che ha sempre avuto una connotazione di decentramento rispetto alla city industriale e borghese, o alla nobilissima corte.

Il consenso del pubblico popolare garantiva mantenimento alle compagnie e agli scrittori che cercavano un riconoscimento immediato e duraturo: il popolo quando ama, ama immediatamente, lo stesso vale per l’odio.

Quindi “The Beggar’s Theatre” – Il Teatro dei Mendicanti. Non avrebbe potuto essere diversamente, come nelle fortissime incisioni di Hogarth, dove convivono musica di strada con ciminiere fumanti, palazzi in fiamme, miserabili accattoni e astuti traffichini; questa è l’immagine del teatro che abbiamo intenzione di impiantare, il teatro fatto col teatro e dalla gente di teatro. Shakespeare era accettato come teatro popolare con tutto che non rinunciava a temi di altissimo valore umano e poetico, e la gente lo capiva, o meglio lo percepiva e lo accettava, il teatro che andava alla povera gente e alla borghesia con gli stessi strumenti linguistici e poetici, e allora la differenza sociale viveva un’immaginaria sospensione, nel linguaggio dell’arte della scena utopisticamente si abbattevano tutti i livelli sociali, e l’uomo più miserabile, il mendicante più infelice non aveva nulla di diverso dal ricco signorotto. Questa fantasia potrebbe essere alla base di un vero lavoro di recupero dei valori di dignità e riscatto, non inteso come miglioramento economico o privilegio civico, bensì recupero di una propria appartenenza umana e collettiva sia in una dimensione di ricchezza che di povertà.

Il Teatro dei mendicanti, è stato pensato da me e dalla mia compagnia con la regola di non consentire alcun piagnisteo, nei percorsi di formazione non ci metteremo mai sulla cattedra per mostrare a chi vive in zone di margine e di emarginazione quello che già sanno, ma cercheremo di mostrare loro come le differenze sociali siano alla base dell’accettamento di se stessi per poi poter migliorare la qualità della propria vita mediante la valorizzazione di se e della propria collettività.

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