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CI SRAGIONO, PREGO E CAMPO

di Mariano Bauduin

 

Regia,  MARIANO BAUDUIN

Costumi MARIANNA CARBONE

Musiche e arrangiamenti MIMMO NAPOLITANO

Canzoni originali ROBERTO DE SIMONE

 

 

Produzione Gli Alberi di Canto Teatro - Estate a Napoli 2012

In una discussione sull’argomento “identità e musica”, si osservò che la parola identità poteva essere trasposta nel termine “coscienza dell’essere”, coscienza di ciò che si è al di là, al di fuori di sé, altro da sé. Si tratta di forme di identità che la musica concorre a determinare e ad esibire. In questo senso si può affermare che l’attività del far musica, i nostri gusti nel produrla e nell’ascoltarla, le nostre scelte di partecipare con altri ai riti cui essa dà sostanza, costituiscono un ulteriore modo di chiarire a noi stessi e a chi ci osserva chi siamo. Sviluppiamo così un senso di appartenenza a un determinato luogo, una determinata cultura, etnia, razza, nazione, parte politica, religione, classe sociale. Si tratta di forme di identità che la musica concorre a determinare e ad esibire.

Le canzoni presentate sono esempi della espressività musicale del popolo colta nei suoi momenti più significativi: il lavoro, lo svago, il divertimento, il rito, l’amore, la guerra, la protesta politica e sociale. Il programma ripropone il patrimonio di una cultura che si presenta con una fisionomia autonoma rispetto alla cultura dominante, in relazione alle trasformazioni formali che intervengono e alle necessità di adeguamento a condizioni diverse di vita. Per questa ragione il concetto tradizionale di folklore non può che trasformarsi in un atteggiamento “normale” nei confronti della espressività propria del mondo popolare, inteso come soggetto e protagonista di una propria vicenda che trova nel canto una delle più valide forme di espressione, radicata in modi musicali fortemente caratterizzati rispetto alle provenienze regionali.

Proporre uno spettacolo di canzoni non è mai facile: soprattutto quando le canzoni sono di origine popolare, dove quindi il “folklore” è sempre in agguato. Questo nostro concerto vuole essere tutto all’infuori di uno spettacolo di folklore: anche se i canti che vi sono presentati provengono dalla più genuina tradizione melodica popolare italiana.

In questo senso, il nostro canto diventa l’oggetto memorabile di una rivoluzione, una rivoluzione dell’identità che si vuole o si deve ribellare, una rivoluzione di un’anima che solo ribellandosi può sperare di ribaltare una condizione, uno stato sociale, una violenza, l’oggetto memorabile è il legame; ma da cosa scaturisce? Quale speranza? La conseguenza di una scelta radicale che implica una discussione di noi stessi? Lo smantellamento di determinate certezze, la loro disgregazione possono tranquillamente trasformarsi in ciò che chiameremmo “rivoluzionario”.

Il canto “rivoluzionario”, il nostro Ci Sragiono, la sua collocazione all’interno di una storia che si fa “metastoria”, come la rivoluzione di Tommasi D’Amalfi, detto Masaniello, la “musica dell’identità”, quella in cui si raccoglie Ci Prego, o se volete “Ci Spero”, ci mostra la sozzura che viene gettata sul volto dell’umanità. Tutto ciò si scolpisce nella memorabilità che è la musica.

 

Lo spettacolo parte dal concetto di fatica: la fatica fisica dei lavoratori dei campi, i quali inconsciamente intonano un canto ritmico tra i più suggestivi, quello che si tramuta del canto della ribellione umana alla violenza prepotente del Potere Ufficiale e Istituzionle, e da questo primo canto ecco snodarsi tanti altri canti di lavoro, dalla raccolta del riso o la battitura del grano. Al tempo del lavoro si collega la domenica con i canti di svago, di divertimento, le filastrocche e le ballate, canzoni d’amore alle quali fanno seguito i canti della malavita, del carcere, della guerra, di protesta. I primi canti politici: e il cerchio si richiude nel lavoro e nella fatica, dove automaticamente la parabola si allaccia.

Il Gruppo Vocale de “Gli Alberi di Canto Teatro” diretto da Mariano Bauduin sta compiendo un lavoro di ricerca su una cultura che si fonda su modelli autoctoni e personali, ma che si riescono a rispecchiare in quel concetto di “Mito unico” che Lévi-Strauss approfondisce nel L’Uomo nudo: Com’è possibile che identità culturali distanti gli uni dagli altri migliaia di chilometri, diversi per lingua e portatori di tradizioni distinte, senza essersi potuti scambiare una parola, siano riusciti a far parte del medesimo quadro. Esprimere un’armonia e un equilibrio del tutto fortuiti, nati da una collaborazione prodotta per caso; eppure, possiamo concludere, dicendo che esiste un unico mito, ispirato agli uni e agli altri da un disegno segreto, ma così ricco nei particolari della composizione e nella molteplicità delle varianti.

Spettacolo che vuole essere soprattutto la dimostrazione viva che esiste, proprio in questo momento in cui i valori musicali sono totalmente sconvolti, un’altra Italia che canta: un’altra Italia che sa e può cantare.

 

 

 

 

 

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