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CANTATA PER LO SPOSALIZIO DEL PRNCIPE DI SANSEVERO

di Mariano Bauduin e Alessandro De Simone

 

Regia e Testi MARIANO BAUDUIN

Musiche ALESSANDRO DE SIMONE

Costumi ZAIRA DE VINCENTIIS

Scene GENNARO VALLIFUOCO

Direttore RENATO PIEMONTESE

 

con 

Giovanni Mauriello - Massimiliano Rossi - Alessandro Caricchia

Coro delle voci bianche diretto da Anna Sorrentino

 

Napoli Teatro Festival Italia 2008 - Sirena Eventi

Secondo quanto ci dicono gli storici e i meta-storici, le nozze dell’Illustrissimo Don Raimondo de Sangro Principe di Sansevero e la sua serena consorte Donna Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona, si celebrarono nel mese di maggio dell’anno glorioso 1735 in quel di Torremaggiore, dimora dei De Sangro, per poi potersi replicare a Napoli alla presenza degli illustri membri della nobiltà napoletana; vi si accodano i più fecondi arcadici poeti, poetoni e poetini del Regno: spicca lo ingegno del Don Giambattista Vico, spicchieggia quello casareccio di Don Carafa di Maddaloni, sottilmente appare il lustro dell’Abate Giovo, e benemeriti seguono molti altri!

Benedetto Iddio e la sua nobile corte di angelici figliuoli, che da’ reali conservatori rendono omaggio alla giovane coppia: Il Pergolese, Il Leo, Il Porpora, Il De Maio, L’ Abos. E, le loro sommità armoniche, cicaleggianti gorgheggi cromatici, contrappuntati sospiri e gioie per i felicissimi sponsali: Evviva Napoli, Evviva Sansevero, Evviva Calliope!

Abbiamo pensato di celebrare il ricco gaudio nuziale per una terza volta, come se mancasse alla consueta prassi alchemica quel terzo e ultimo stadio di trasformazione metallica; così che il nero, il bianco, e infine il rosso, si accordino in armonico stadio.

La nostra Cantata per lo sposalizio del Principe di Sansevero prevede l’esecuzione in chiave moderna della cantata che il Sig. Pergolesi scrisse nel 1735 su libretto di Giuseppantonio Macri, ma di cui musicò soltanto la prima parte (la seconda fu affidata a Nicolò Sabbatino per impossibilità del primo); in effetti, quello stesso anno Pergolesi si troverà impegnato nella composizione de L’Olimpiade sotto più degno poeta librettista, Pietro Metastasio, e più stimolante estro compositivo, infatti, il lavoro de Il tempo felice è un pretesto, un’attenuante scusa per comporre un nuovo e più felice spettacolo sulla figura del Principe di Sansevero e su quello che ha potuto significare la sua presenza nel Regno di Napoli nel corso del fecondo Settecento napoletano: scienziato, filosofo, esteta, alchimista, libero pensatore; potremmo considerarlo una sorta di pre-illuminista, ma dovremmo mettere in discussione l’idea stessa di Illuminismo, e pensiamo che non sia l’idea progressista in quanto tale a fare il nuovo uomo moderno, bensì la capacità mentale e intellettuale di chi sa di poter pensare, liberamente.

Sulla base di queste considerazioni rileggiamo tutte le leggende e le storie che ruotano attorno alla casa dei De Sangro, le invenzioni, gli esperimenti, l’aver aderito alla libera muratoria, le sculture, il Cristo Velato e lo stesso lume eterno; tutte metafore dell’intelligenza, la quale non prescinde più nessuna esperienza umana, compresa quella divina e religiosa. A demerito di qualsivoglia morale.

E, quindi, abbiamo composto un Testamento apologetico o apocalittico, che dalle corde vocali del Principe, o dalle arterie solidificate delle due macchine anatomiche, o ancora, dai velami della scultura dolorosa et lacrimosa del Sammartino, vibra in un dies irae violento e divertito, come lo sghignazzo di un nuovo Socrate, che sa ridere della propria morte e piangere della propria vita, o delle vite proprie, perché ricorda ancora come si gioca.

E, ancora, la musica degli angeli, o dell’angelo più settecentesco che si conosca, l’angelico Pergolesi – Come non piangere, contemplando questo sublime poema del dolore? ... quanto vorrei comporre una melodia tenera e appassionata, che somigliasse a questa, e dopo sarei contento di morire anche giovanissimo come il povero Pergolesi. – come lo definiva Vincenzo Bellini, ma, quella musica, abbiamo pensato di condensarla nel nostro forno alchemico, e attendere la nostra combustione, per mezzo dei metalli di cui disponiamo – ottoni, legni, tamburi, tastiere – e del nostro fiato, perché il Principe ci ha chiesto di continuare lì dove lui si è fermato.

Infine le nozze, metafora dell’unione di spirito e anima, di mente e corpo, di cuore e visceri, di marmo e cera, di ferro e oro, di seta e fuoco. Come un martellin che suona e un tamburin che batte, dondoleremo le nostre campane a nozze, per il felicissimo Don Raimondo e la graziosissima Donna Carlotta.

 

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