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NATALE DELLA RESISTENZA

di Mariano Bauduin

 

Regia  MARIANO BAUDUIN

Musiche e arrangiamenti MIMMO NAPOLITANO

 

Con

Antonella Morea - Patrizia Spinosi - Renata Fusco - Anna Spagnuolo - Maurizio Murano - Armando Aragione

 

Produzione Gli Alberi di Canto Teatro - Beggar's Theatre

A Sud,

Le leggende e le connotazioni relative alla figura di Gesù Bambino, sono ben diverse dalla oleografia devozionale che l’ufficialità religiose ci propone in merito al Natale.

 

A tale proposito, è da premettere che, nella tradizione popolare, il periodo compreso tra il 24 dicembre e il 6 gennaio, è considerato tempo magico per eccellenza, in cui i morti si confondono con i vivi, e le creature diaboliche si aggirano per il mondo insieme agli angeli e ai Santi. Per tale motivo nell’immaginario collettivo, anche la figura di Gesù Bambino entra a far parte di una serie di leggende relative a un mondo magico religioso, che si attiva per l’appunto durante i cosiddetti 12 giorni del Natale, e che, da questo, si riflette in leggende e manifestazioni collegate al Divino Bambino, anche al di fuori dal periodo natalizio.

Inizialmente, va fatta differenza tra l’immagine del Bambino Gesù adagiato nella mangiatoia o nella culla, e la rappresentazione che lo mostra in piedi.

La prima, difatti, si riferisce strettamente alla Natività, al 24 dicembre, mentre la seconda è raffigurazione del Bambino che inizia a camminare, ossia del nuovo anno.

La Sacra rappresentazione del Natale e ancora tutti i suoi molteplici elementi magico religiosi, sono collegati alla figura di un bambino, figlio del sole e del fuoco. Infatti, l’immagine popolare comunemente esposta al culto in un luogo dove nel periodo natalizio si svolge la fiera dei presepi e delle figurine tradizionali, emana particolare suggestione, ispirando l’immaginario devozionale a fervide considerazioni sulla eccezionalità del segno.

Ma del Bambinello, in qualche modo collegato al segno della pietra, vulcanica o non, è caratteristica anche la leggenda della cosiddetta Stefania, ossia alla madre di Santo Stefano. Nella notte di Natale gli angeli avevano annunziato la nascita del Redentore, e molte persone si erano messe in cammino per recarsi alla santa grotta. Purtuttavia, una volta, alle donne vergini era interdetta la visita alle puerpere, e Stefania, mossa dal desiderio di adorare il Messia, ne era contrariata, ben sapendo che gli angeli non le avrebbero permesso di entrare nella grotta. Allora, pensa e ripensa, raccattò una pietra più o meno grande come un neonato, l’avvolse nelle fasce,  e s’incamminò con gli altri, fingendo, in tal modo, di essere madre, e ingannando gli angeli che la lasciarono passare. Purtuttavia, essendosi mossa in ritardo, giunse dinanzi alla Natività il giorno seguente, ossia la mattina del 26 dicembre. Allora si accostò al Bambino, si inginocchiò e gli baciò il piedino. E la Madonna, pertanto, commossa dalla fede di Stefania, benedisse quell’involto che ella recava tra le braccia, e subito le pietra starnutì e divenne veramente un bambino. La Madonna disse:

 

Buongiorno Stefanuccio,

ieri è nato Gesù,

e oggi sei nato tu.

 

La leggenda, come si vede, si riferisce anche alla data del 26 dicembre in cui si festeggia Santo Stefano.

Il nostro concerto racconta mediante l’esecuzione di una vasta gamma di canti popolari tutto questo mondo, fatto di leggende auliche, fantasie popolari, incanti magici religiosi, antichi suoni provenienti da quella lontana caverna della nostra coscienza prenatale, come degli antichi divini infanti figli degli astri che splendono sotto terra.

Le voci dei nostri interpreti potrebbe collocarsi a metà strada tra la voce di un bambino e quella di un vecchio pastore, esse possono rappresentare quella metastoria che è la metafora del presepe dove antico e nuovo, vita e morte, sole e luna rappresentano da 5000 anni come disse F.Saba Sardi raccontando le antiche origini del culto natalizio. Le voci maschili e femminili che lo affiancano sono da intendersi come una Madonna e un San Giuseppe emblematici, i nostri strumentisti rappresentano invece quei pastori in adorazione che usualmente si collocano con antichi strumenti appena fuori della Divina grotta.

Le canzoni presentate sono esempi della espressività musicale del popolo colta nei suoi momenti più significativi: il lavoro, lo svago, il divertimento, il rito, l’amore, la guerra, la protesta politica e sociale. Il programma ripropone il patrimonio di una cultura che si presenta con una fisionomia autonoma rispetto alla cultura dominante, in relazione alle trasformazioni formali che intervengono e alle necessità di adeguamento a condizioni diverse di vita. Per questa ragione il concetto tradizionale di folklore non può che trasformarsi in un atteggiamento “normale” nei confronti della espressività propria del mondo popolare, inteso come soggetto e protagonista di una propria vicenda che trova nel canto una delle più valide forme di espressione, radicata in modi musicali fortemente caratterizzati rispetto alle provenienze regionali.

Proporre uno spettacolo di canzoni non è mai facile: soprattutto quando le canzoni sono di origine popolare, dove quindi il “folklore” è sempre in agguato. Questo nostro concerto vuole essere tutto all’infuori di uno spettacolo di folklore: anche se i canti che vi sono presentati provengono dalla più genuina tradizione melodica popolare italiana.

In questo senso, il nostro canto diventa l’oggetto memorabile di una rivoluzione, una rivoluzione dell’identità che si vuole o si deve ribellare, una rivoluzione di un’anima che solo ribellandosi può sperare di ribaltare una condizione, uno stato sociale, una violenza, l’oggetto memorabile è il legame; ma da cosa scaturisce? Quale speranza? La conseguenza di una scelta radicale che implica una discussione di noi stessi? Lo smantellamento di determinate certezze, la loro disgregazione possono tranquillamente trasformarsi in ciò che chiameremmo “rivoluzionario”.

 

 

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